Leggendo l’intervista a Nikolas Kosmatopoulos, antropologo, attivista e membro della facoltà dell'Università Americana di Beirut (AUB), mi sono trovata d’accordo con le sue parole pronunciate a favore del movimento studentesco globale in solidarietà con la Palestina.
Da sempre, le università sono state culle di pensiero critico, luoghi di apprendimento, discussione e dibattito. Spesso sono state fucine di idee rivoluzionarie e innovative. Il conflitto israelo-palestinese sta portando alla luce importanti questioni sull'ipocrisia del mondo occidentale e sul suo passato e presente coloniale, e i giovani lo hanno capito. Le dimostrazioni, e adesso gli accampamenti nascono certamente per dare voce al popolo palestinese e dimostrare solidarietà, ma anche per denunciare la complicità dei paesi occidentali nel promuovere disuguaglianze e ingiustizie. Come sostiene l’antropologo, oggi gli studenti sono "affrontati con incredibile repressione" a causa della loro profonda conoscenza e determinazione a sfidare le grandi potenze mondiali, esercitando il loro diritto di protestare contro la complicità degli Stati Uniti e dell'Occidente, che forniscono armi e supporto diplomatico a Israele, permettendo il genocidio a Gaza. Questo movimento non ha frontiere: dalle università americane più rinomate a quelle europee, fino a Istanbul e al Medio Oriente.
La solidarietà con il popolo palestinese porta alla luce questioni molto complesse, aggiungendo un sentimento di repressione e ingiustizia a quello di lotta e cambiamento. Si parla di eredità coloniale, con riferimento a ciò che da più di 70 anni in Palestina uccide indiscriminatamente civili, bambini e donne, e a quello statunitense che finanzia le operazioni belliche mentre in America ci si indebita per frequentare l’università e in Italia si tagliano i fondi pubblici alla sanità e all’educazione.
Secondo Kosmatopoulos, l'atteggiamento dell'Occidente è problematico, se si guarda anche a come la polizia e i media pro-israeliani "attaccano gli studenti che protestano" e come le amministrazioni universitarie espellono studenti per aver semplicemente esercitato "il loro legittimo diritto di protestare". La democrazia è messa in discussione e, come l’antropologo sostiene, “dopo Gaza, l'Europa non sarà più la stessa.”
Mi sono occupata di tutela del minore, di adolescenti in luoghi di conflitto, e ho lavorato con giovani in molte situazioni di fragilità, credendo fermamente che la loro partecipazione attiva sia al centro di ogni soluzione e analisi. Spesso, al mio rientro in Italia, ho provato frustrazione nel non trovare un dialogo sano e costruttivo tra generazioni, e nel constatare la mancanza di spazi e opportunità per i giovani di essere protagonisti delle loro idee, scelte e questioni che li vedono come parte fondamentale della società civile. Alla fine, se lo sono preso lo spazio, perché le ingiustizie li toccano direttamente; non sono il nostro futuro, ma il nostro presente, e hanno giustamente preso in mano il loro tempo.
Infine, sono d’accordo con Kosmatopoulos quando dice che la lotta dei palestinesi contro l'occupazione e l'apartheid, insieme alle proteste studentesche contro la guerra, potrebbe innescare un risveglio della politica progressista, che nessuna politica di sinistra o destra ha saputo promuovere negli ultimi decenni. Confido nei movimenti studenteschi che da sempre portano vento di cambiamento, sostenendoli pienamente e dando loro voce.
Z.L.
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