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  • Immagine del redattoreZeudi Liew

Sulla Strada dell'Uguaglianza: la Pedalata delle Sorelle Hashimi

Sarà perché amo dare voce ai giovani, raccontare storie di coraggio e speranza, e mettere in luce le donne e le bambine che in alcune parti del mondo rischiano la vita semplicemente per essere se stesse, senza poter sognare né avere diritti da realizzare. Sarà per i miei tentativi ciclistici, da cui spesso si cade per poi risalire  e il mio profondo affetto per l'Afghanistan e il Medio Oriente. Ma non potevo non invitarvi a esplorare la storia delle sorelle Hashimi, che in queste ore stanno gareggiando alle Olimpiadi di Parigi.

C’è chi, meglio di me, ha saputo difendere atlete come l'algerina Imane Khefil da interventi razzisti e discriminatori. Spero che parlare delle sorelle Fariba e Yulduz possa solo rafforzare il ruolo che lo sport può avere per le bambine e le giovani donne, permettendo loro di essere se stesse, senza compromessi sui loro diritti e sulla loro realizzazione.

Le sorelle afghane sono riuscite a fuggire dal regime talebano nel 2021, arrivando a Santorso grazie a Road to Equality, l'associazione fondata da Alessandra Cappellotto, ex ciclista e vincitrice di un oro e due bronzi mondiali. Fariba e Yulduz hanno iniziato a pedalare sei anni fa nel Faryab, una delle province più tradizionaliste dell'Afghanistan. All'inizio, lo facevano clandestinamente, travestendosi da uomini. Oggi, fanno parte del gruppo di sei atleti (tre donne e tre uomini) che rappresentano l'Afghanistan a Parigi 2024. Le due sorelle hanno deciso di partecipare non come rifugiate, ma sotto la bandiera afgana non riconosciuta dalle autorità talebane, perché credono fermamente che le cose debbano cambiare e hanno voluto trasmettere un messaggio forte e chiaro.

Fariba e Yulduz sono consapevoli del rischio che corrono e mostrano un coraggio straordinario nel sfidare il regime talebano. La loro famiglia, che vive ancora in Afghanistan, è stata costretta a cambiare casa quattro volte nell'ultimo anno. L'esempio di queste due giovani è stato seguito da Kimia Yousofi, 28enne rifugiata politica in Australia, che è arrivata ultima ai preliminari dei 100 metri. Quando ha finito la sua gara, si è tolta il pettorale, ignorando la Rule 50 (che vieta manifestazioni politiche, religiose e razziali durante i Giochi) e ha mostrato al mondo la scritta "Istruzione, sport, i nostri diritti", aggiungendo parole di incoraggiamento per tutte le giovani afghane a non mollare, a cercare le opportunità e usarle.

Raccontare queste storie senza menzionare Road to Equality (RTE) sarebbe lasciare una storia a metà. Questa associazione sportiva dilettantistica promuove l’emancipazione femminile nei paesi in via di sviluppo e in tutti quei paesi in cui le donne non godono di diritti basilari, sostenendole nel loro percorso di autodeterminazione sia sportivo che socioeconomico. RTE si ispira all’obiettivo 5 dell'Agenda ONU 2030, che mira a "raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze" e "favorire l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli di partecipazione". La convinzione è che lo sport, in particolare il ciclismo, sia un mezzo efficace e universalmente riconosciuto per raggiungere questo obiettivo.

L’Associazione porta avanti iniziative ovunque “una donna abbia voglia di pedalare, di affermarsi come atleta e crescere come persona” come in Afghanistan, Algeria, Argentina, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Iran, Lettonia, Messico, Nigeria, Rwanda e Sud Africa, Ghana, Marocco, Sierra Leone.

L'avventura di Road to Equality era iniziata in Ruanda,e adesso le ultime richieste arrivano  dall'Iran, perché come ricorda Alessandra Cappellotto  i sogni di una bambina sono uguali in tutto il mondo.



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